Se fino agli anni sessanta il letame prodotto dal bestiame era considerato oro per una piccola azienda agricola, oggi è diventato un problema. Tutto è legato agli allevamenti intensivi in cui poche e grandi aziende gestiscono migliaia di capi in piccoli spazi, con la necessità di smaltire i liquami prodotti che però producono grandi quantità di ammoniaca e nitrati con un forte impatto sia nella formazione del Pm10, sia nell'inquinamento delle falde acquifere. Solo pochi giorni fa è uscito uno studio preliminare della Società italiana medici ambientali che, in collaborazione con alcune università italiane, ipotizza una correlazione tra la diffusione del coronavirus in pianura padana e l'inquinamento da Pm10. Il caso monitorato è quello di Brescia e della sua provincia, che insieme a Bergamo, ha raggiunto il più alto numero di contagi. Ed è a Brescia che siamo stati tutta la prima metà di febbraio a documentare come avvengono gli spandimenti di liquami sui terreni, mentre il virus si stava diffondendo tra la popolazione. Il problema dell'impatto ambientale nella produzione di carne esiste anche se l'Italia è un paese importatore perché non riesce a soddisfare la domanda sempre più crescente. Tra i maggiori produttori, con oltre 200 mln di capi bovini c'è il Brasile, a cui si rivolgono alcuni produttori italiani di bresaola. Siamo partiti per il Mato Grosso e il Parà, nel cuore dell'Amazzonia, per capire quanto gli allevamenti sono legati alla deforestazione e quanto questo possa sviluppare nuove pandemie.